martedì 8 dicembre 2009

sabato 5 dicembre 2009

Pensare la valutazione per uscire dalla crisi dell’Università

Gli studenti e le studentesse dell'Università di Bologna si sono presentati "senza invito" in Rettorato per un incontro promosso dal Nucleo di Valutazione dell'Alma Mater sulla valutazione e sulla didattica.

Agli interventi previsti si è aggiunto quello degli studenti dell'Onda e dei ricercatori precari che hanno letto un documento, col quale è stata lanciata a presidi, docenti e rettore la proposta di un'apertura di tavoli sulla didattica nelle facoltà, affinchè siano i soggetti che vivono realmente l'università a decidere sul proprio percorso formativo e sulla propria didattica.

Documento:

Siamo studenti e ricercatori, ogni giorno con il nostro lavoro produciamo saperi nell'università-azienda. Produciamo ricchezza. E' questa consapevolezza che ci ha spinti a prendere parola in questa sede. La didattica e la valutazione per noi, sono temi centrali sui quali sentiamo la necessità di esprimerci.

Siamo gli studenti che vivono negli anni del 3+2, nell'epoca del processo di Bologna, che subiscono la misurazione in crediti e la parcellizzazione idiota e artificiale del sapere; che continuano a subire i tagli radicali alla formazione, la moltiplicazione delle barriere all'accesso lungo il percorso formativo e il costante aumento delle rette.

Negli ultimi 20 anni abbiamo subito, quasi mai passivamente, continue riforme dell'Università che hanno prodotto esclusivamente dequalificazione dei saperi. Pensiamo che la riforma Gelmini approfondisca questo processo.

Siamo i ricercatori che non hanno fondi per le proprie ricerche, che subiscono il ricatto della precarietà.

Siamo i ricercatori che in questo Ateneo forniscono prestazioni gratuite, costretti a sacrificare tempo e risorse per trovare un modo per costruirsi una vita.

Siamo studenti e ricercatori e siamo stanchi di subire l’incessante dequalificazione della didattica, della ricerca e dei saperi.

Lo scorso autunno abbiamo partecipato ai cortei dell'Onda, quello straordinario movimento che ha saputo opporsi ai tagli dell'università e della ricerca, che ha saputo definire delle strategie di uscita dalla crisi dell'Università. Oggi non ci lasciamo ingannare dalla retorica del merito del ministro Gelmini il cui scopo principale è mascherare una realtà fatta di tagli e dismissione dell'università pubblica. Ci rifiutiamo di pensare la qualità della didattica come un premio per pochi. Crediamo piuttosto che l'accesso ad una didattica e ad un sapere di qualità sia un diritto di tutti. Non capiamo perché dovremmo indebitarci per poter studiare, già prima di entrare nel mercato del lavoro. Anzi no lo capiamo benissimo: il prestito d'onore serve a renderci ancora più precari.

Per questo siamo quelli che quando scendono in piazza scrivono sugli striscioni "La Gelmini non ci merita", per questo l'11 dicembre scenderemo in piazza insieme agli studenti medi, insieme ai precari della scuola, formando un corteo autonomo che dica "no" in maniera decisa alla politica dei tagli che ha attaccato trasversalmente tutto il mondo della formazione, che dica “no” allo smantellamento dell'università pubblica e al tentativo di renderci ancora più precari. L'11 dicembre sarà un giorno importante per i tanti che come il rettore, i prorettori, i presidi e docenti presenti in questa sala hanno a cuore il destino dell'Università. A loro rivolgiamo il nostro invito a partecipare a quella giornata.

Le riforme dell’Università promosse da tutti i governi degli ultimi due decenni non hanno mai avuto come principale campo di interesse la didattica e la ricerca, non per questo non hanno inciso negativamente su questi due ambiti. Tutto il contrario. Dal processo di Bologna in poi, ogni intervento sull’Università ha contribuito allo smantellamento del sistema della formazione. Non siamo nostalgici. Pensiamo le trasformazioni del presente sempre in termini innovativi e mai conservativi. E’ a partire da questo assunto che mentre tutti continuavano a pensare con criteri economicistici, noi, studenti e ricercatori, sin dall’inizio abbiamo messo al centro dei nostri ragionamenti e delle nostre pratiche la qualità della didattica e della ricerca.

Abbiamo deciso di prendere parola su una parte importante della nostra vita, di dare voce e possibilità concrete a quel desiderio comune e diffuso di apprendere, di innovare le pratiche di produzione e condivisione dei saperi. E’ da qui, dalla voglia di imparare, di studiare e di fare ricerca, desiderio continuamente mortificato dalle riforme imposte dai governi, che bisogna ripartire anche solo per pensare la riqualificazione della didattica e della ricerca. Non partiamo da zero. Già da tempo in alcune Facoltà di questo Ateneo sono nati percorsi didattici e formativi gestiti insieme da studenti, ricercatori, docenti e figure di alto profilo del mondo della cultura.

Abbiamo costruito e continuiamo a costruire, con passione e tenacia, esperimenti didattici puntando sulla collaborazione e la cooperazione tra le diverse figure della relazione didattica, ciascuna con le proprie competenze. Li abbiamo battezzati seminari di autoformazione: percorsi formativi in cui gli studenti hanno la possibilità concreta di incidere nella produzione del sapere e in cui al contempo i docenti e i ricercatori coinvolti trovano uno spazio di confronto e rielaborazione delle proprie conoscenze. Pensiamo che solo in questi termini la relazione didattica possa essere effettivamente produttiva.

E’ nella costruzione di questi percorsi che ci siamo accorti che esiste un'opportunità concreta di riqualificare la didattica. Una riqualificazione che non può prescindere dalla richiesta di fondi e che non può basarsi su una meritocrazia costruita attorno a criteri quantitativi e temporali che inibiscono ogni spinta propositiva da parte delle figure che animano l’università.

Siamo convinti che non si possa valutare lo studente sulla base di una prestazione occasionale di cinque minuti in cui ci si limita a ripetere la lezione imparata a memoria.

Siamo convinti che solo a partire da questi percorsi formativi, improntati sulla cooperazione, si possa parlare di valutazione e qualità.

Pensiamo ancora, che la valutazione non possa essere slegata dalla possibilità di definire in autonomia progetti formativi, di scegliere un proprio percorso di studio e di ricerca, all’interno di un’offerta didattica all’altezza delle esigenze della contemporaneità.

E’ chiaro che la qualità della didattica ha bisogno di tempo. La caccia ai fuoricorso che si è scatenata è l'espressione diretta di un'università che ha deciso di non ragionare più in termini qualitativi: devi fare gli esami e farli nel più breve tempo possibile, senza il tempo di poter lasciare sedimentare le conoscenze apprese, di poter allargare gli orizzonti di studio e di ricerca.

L’università, lo abbiamo sottolineato più volte, è o meglio dovrebbe essere un luogo di ricerca, oggi elemento centrale nella produzione di ricchezza. E’ solo attraverso l’investimento sulla conoscenza e la formazione che è possibile pensare l’uscita dalla crisi economica. Il ddl Gelmini, invece, precarizza i ricercatori e li rende ancora più ricattabili. Pensiamo che la ricerca debba godere di ampi margini di autonomia. Autonomia della ricerca significa accesso diretto e non mediato ai fondi. Solo a partire da queste condizioni è possibile parlare di valutazione della ricerca troppo spesso basata esclusivamente sul numero delle pubblicazioni o sul numero di apparizioni nelle note a fondo pagina.

Abbiamo deciso di interrompere momentaneamente questo seminario, di prendere parola di fronte al Nucleo di Valutazione della didattica, di fronte ai presidi, ai docenti, al rettore e ai prorettori perché siamo convinti che di valutazione e didattica si debba continuare a parlare, ma rideclinando la retorica del merito portata avanti dalle ultime riforme. Certo, riteniamo assurdo non aprire la discussione che si svolgerà nella seconda parte del seminario a chi nelle facoltà sperimenta nuove pratiche didattiche e di valutazione, ma siamo decisi a promuovere un percorso costruttivo e aperto sui temi dell'incontro di oggi. Pensiamo sia indispensabile aprire nell'Ateneo e nelle Facoltà un dibattito sulla valutazione e la didattica che coinvolga tutte le figure che partecipano alla produzione dei saperi. Siamo altrettanto convinti che si debba partire proprio da quelle sperimentazioni didattiche che sono già una realtà in questo Ateneo.

Riteniamo sterili le analisi che si basano sui questionari a crocette che vengono distribuiti a lezione. Questi questionari promuovono un’idea di valutazione che si basa su criteri quantitativi, senza mettere in risalto né la qualità, né l’effettivo apprendimento, né la messa a valore delle capacità dei soggetti coinvolti.

Pensiamo che si debba trovare un modo per rovesciare il clima di disillusione generale che si respira negli ambienti universitari e che riscontriamo nelle dichiarazioni che leggiamo nelle pagine dei giornali.

Per questo chiediamo al rettore e ai prorettori di dare indicazioni affinché vengano convocati nelle singole Facoltà tavoli aperti agli studenti, ai ricercatori ai docenti in cui si possano affrontare questi problemi e lavorare insieme per costruire un diverso tipo di valutazione, di merito e di didattica. Chiediamo inoltre che questi tavoli vengano convocati prima dei prossimi Consigli di Facoltà, per non cadere in promesse sterili e a lungo termine. Ci piacerebbe che queste richieste fossero accolte come un’opportunità. Noi in tanto, continueremo a prendere parola.

venerdì 27 novembre 2009

Documento dell'assemblea del 20/11 a Roma

Oggi 20 Novembre una grande assemblea di precari e di studenti, provenienti da tutta Italia, si è riunita alla Sapienza per rilanciare – a partire dalle molteplici iniziative di lotta organizzate in questi mesi nei vari atenei e scuole – un percorso ampio di mobilitazione che rimetta al centro la lotta contro il progetto di dismissione dell'università e che rivendichi un nuovo sistema di garanzie sociali all'altezza delle sfide poste dall'attuale mondo del lavoro. Ad un anno di distanza dall'esplosione dell'Onda, siamo ancora fermi nel nostro rifiuto della crisi economica: noi la crisi non la paghiamo, vogliamo fin da subito riappropriarci del nostro futuro e della ricchezza sociale che ci viene quotidianamente sottratta.


Per queste ragioni chiediamo, in primo luogo, il ritiro immediato del DDL Gelmini – presentato mediaticamente come disegno “innovativo” di riforma dell’Università – che rappresenta palesemente un progetto di riproposizione e cristallizzazione di tutti gli elementi negativi del sistema universitario, denunciati più volte dal movimento dell’Onda:


- non risolve in nessun modo il problema della precarietà né del ricambio generazionale – come propagandato dal Governo – aumentando, invece, il fossato tra tutelati e non tutelati, tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema di garanzie sociali;


- non interviene sulla governance degli atenei per innovarla, ma per chiudere i già irrisori spazi di democrazia e partecipazione delle differenti componenti accademiche e consolidare e rafforzare il potere delle corporazioni responsabili del fallimento dell'università pubblica negli ultimi 30 anni;


- indebolisce ulteriormente il diritto allo studio, chiedendo agli studenti di indebitarsi “all'americana” attraverso lo strumento del prestito d’onore, mentre la crisi globale – che mostra il fallimento di un sistema fondato sull'indebitamento – richiederebbe una netta inversione di tendenza e di maggiori investimenti per garantire a tutti l’accesso ai livelli più alti dell’istruzione superiore;


- completa il processo di de-strutturazione e riduzione dell’Università pubblica prefigurando, quindi, un'università complessivamente più piccola, che non risponde alla domanda di maggiore conoscenza e competenze che il nostro paese dovrebbe considerare centrale per le proprie politiche di sviluppo; con l'entrata dei privati negli organi di governo si regalano gli atenei ai poteri locali, senza che questi diano nessun contributo alla crescita dell'università;


- restituisce alle lobby accademiche il controllo sui concorsi, senza incidere sulle pratiche clientelari e mettendo in competizione i precari e gli attuali ricercatori; servirebbe, invece, un piano straordinario di reclutamento, con un numero consistente di concorsi che diano opportunità reali a chi garantisce il funzionamento quotidiano della didattica e della ricerca nei nostri atenei;


- nasconde il progetto di smantellamento selettivo dell'università dietro il paravento della valutazione dei meriti individuali; tuttavia, non si può far finta di non sapere che precarietà e ricattabilità rendono impossibile una valutazione trasparente delle capacità delle persone; la valorizzazione del merito non può prescindere da un serio investimento (anche e soprattutto economico) sulla qualità della didattica e della ricerca e sulla garanzia di autonomia sociale di chi studia, di chi insegna e di chi fa ricerca nelle università. In assenza di tali garanzie, nel contesto Italiano, l'insistenza da parte governativa sul merito si risolve in uno strumento di ulteriore ricatto per i precari. La retorica dell'efficienza e della meritocrazia altro non è che uno strumento per dequalificare ulteriormente il sapere, per stratificare e declassare la forza lavoro.


Specularmente, il taglio dei finanziamenti per la scuola contenuto nella legge 133 di 8 miliardi di euro e la legge 169 con la cancellazione delle compresenze e del modulo determinano un netto peggioramento della qualità della didattica e producono migliaia di licenziamenti. A questo si aggiunge il progetto di legge Aprea che, se approvato, porterebbe l'ingresso dei privati nelle scuole e sarebbe causa di una assurda gerarchizzazione della classe docente con la repressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia dei docenti. Allo stesso modo, la volontà di aziendalizzare la scuola uccide l'emancipazione culturale degli studenti. Il protagonismo del movimento dei precari della scuola, dei genitori e degli studenti di questi ultimi mesi si salda naturalmente con la lotta che parte dalle università per costruire una grande risposta unitaria di tutto il mondo della conoscenza contro l'attacco mosso da governo.

In un contesto di forte crisi sociale e produttiva, l’investimento politico ed economico sulla Scuola, sull'Università, le Accademie, i Conservatori e sulla Ricerca come beni comuni dovrebbe essere il principale strumento per il rilancio del paese, fondato sulla qualità della vita delle persone e che sappia andare oltre i limiti del modello fallimentare imposto dall'attuale classe dirigente ed imprenditoriale. L'attacco alla Scuola e all'Università al quale stiamo assistendo è parte di un'aggressione più generale, tanto più anacronistica proprio perché cade nel pieno del fallimento delle politiche di smantellamento dello stato sociale condotte negli ultimi tre decenni.

Non è un caso se l'Onda ha fatto breccia nell'immaginario: ha saputo, infatti, esprimere i bisogni e i desideri di una nuova generazione. La generazione dell'Onda ha mostrato, nel cuore della crisi globale, che in una società della conoscenza l'accesso pubblico all'università e la qualità del sapere, sono degli elementi di nuova e piena cittadinanza. Oggi, alla luce del nuovo progetto di riforma e assunto il definitivo fallimento del modello del 3+2, pensiamo sia ancor più centrale riaprire, in tutti gli atenei, la lotta per l'accesso e per la qualità del sapere, per l'abbattimento delle forme di blocco, di selezione e di segmentazione dei percorsi formativi (numeri chiusi, test d'ingresso, percorsi d'eccellenza), per la rivendicazione di spazi di decisione sulla didattica e sulla ricerca e di autogestione dei percorsi formativi.


Scuola, Università, Accademie, Conservatori e Ricerca sono parte di un modello innovativo di welfare che sappia rispondere alle attuali forme di sfruttamento. La continuità del reddito, l'accesso alla casa e alla mobilità sono bisogni ormai imprescindibili. Solo rispondendo al problema della precarietà di chi studia e lavora nei luoghi della conoscenza con la definizione di un nuovo welfare, si oppone una risposta al governo che non sia corporativa, ma che sappia parlare all'intera società e attraversarla. Per queste ragioni riteniamo decisivo rilanciare nelle prossime settimane una campagna, in tutte le città, per rivendicare forme di erogazione, diretta ed indiretta, di reddito per gli studenti e i precari, che vada nella direzione del rifiuto delle forme di precarizzazione.

Per questo, da oggi, studenti e lavoratori precari lanciano una vera e propria campagna di mobilitazione che unifichi le lotte portare avanti nelle scuole e nelle università e che, a partire da questa Assemblea nazionale, abbia il passo abbastanza lungo da mettere in discussione il percorso di questo DDL e porre all'ordine del giorno nazionale l'elaborazione di un nuovo sistema di welfare all'altezza delle sfide della società della conoscenza.

Si propone di:

- organizzare iniziative di mobilitazione sui territori, in forme molteplici, il 2 dicembre;


- in occasione dell'11 dicembre vogliamo generalizzare lo sciopero e assediare il Ministero, a partire dalla mobilitazione già lanciata dai coordinamenti e dai precari delle scuole e dai sindacati;


- assediare il Parlamento in concomitanza con il calendario di discussione e votazione del DDL;


- organizzare una grande manifestazione nazionale a Roma a inizio marzo che, partendo dalla difesa e dal rilancio dal mondo della conoscenza, coniughi la necessità di eliminare la precarietà lavorativa ed esistenziale con il contrasto delle migliaia di licenziamenti giustificati pretestuosamente con la crisi rivendicando un nuovo sistema di welfare fondato sulla continuità di reddito per tutti, l'accesso alla mobilità alla casa e ai servizi.


Assemblea nazionale dei precari e degli studenti


Roma, 20/11/2009

venerdì 20 novembre 2009

INCONTRO DELLA FACOLTA' DI SCIENZE

05/11/2009 aula Ghigi B.E.S.

27/11/2009: il governo propone il disegno di legge delega “in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio”.

E' passato più di un anno dalla famigerata legge 133 che si abbattè come una scure sul mondo della formazione, dell'università, della ricerca e della cultura. Più di 1000 Mld di tagli in quattro anni solo per l'università.

Un anno di proteste, di presa di consapevolezza e di parola per un movimento che ha saputo capire le ragioni profonde di un provvedimento e ha saputo inquadrarle in un contesto ben più largo e strutturato che il semplice “stringiamo la cinghia” dettato dal governo.

Un anno speso bene però dal governo che ha impegnato tutte le sue forze in una campagna propagandistica che preparasse il terreno ad un consenso facile per la riforma in tutta la sua fantomatica novità e benedetta puntualità. Un anno a scolpire nella mente di tutti parole semplici, a prima vista difficili da rifiutare parlando di università e ricerca:

Meritocrazia, eccellenza, efficienza.

Ma possiamo fidarci del nostro primo istinto di fronte alle parole usate per incensare il proprio programma legislativo, soprattutto se si basa sul presupposto terrificante della legge 133?

Quanto sono nuove queste parole prima dell'ennesima riforma? Che senso hanno realmente sia da un punto di vista politico che dal più immediato raffronto con le effettive proposte contenute nella riforma?

C'è da chiedersi ancora quali siano le basi logiche e ideologiche su cui si basa l'intervento del governo e quanto abbiano a che fare con la linea europea riguardo alla funzione e all'organizzazione di università e ricerca; e quali siano infine gli effetti pratici sui percorsi di vita e lavorativi che ci attendono dopo questa riforma. In quanto studenti di facoltà scientifiche verremo sicuramente investiti dagli effetti di una rivoluzione nell'organizzazione delle carriere di ricerca e di docenza;

e più di altri sentiremo sulle nostre spalle la riforma, in quanto si propone un modello tecnocratico, non nell'incentivo dato alla ricerca scientifica e tecnologica, ma nella settorializzazione delle conoscenze, nella idea di un'università delle competenze asservita unicamente alle logiche del mercato (del lavoro e non) in cui il nostro ruolo è solo di immagazzinare tali competenze perchè possano essere estratte all'occorrenza. Siamo sicuri che la possibilità di futuro che dicono di poter creare sia davvero la nostra, o che il progetto del nostro futuro, ridotto solo nelle nostre capacità di arricchire il nostro bagaglio di competenze, servirà soltanto a rincorrere il lavoro nella precarietà?

Noi dell'Assemblea permanente Interscienze abbiamo voluto aprire un confronto tra gli studenti, i dottorandi e i ricercatori su questa riforma, tramite quest'incontro di facoltà e incontri settimanali sotto forma di laboratorio. Cerceremo di entrare nei meandri del testo e di aprirci al dialogo critico tra tutti coloro che vorranno prendere parte alla discussione.

Di seguito sono presentati alcuni estratti dagli interventi dell'incontro:


Gabriele:


Bisogna certamente chiedersi perchè un anno di attesa per proporre la riforma. Il governo aveva la necessità di un’opera di propaganda volta alla creazione preliminare del consenso e all’individuazione di un nemico comune cui contrapporre un paradigma positivo, entrambi facilmente riconoscibili: la casta baronale, la corruzione, il nepotismo, l’assenza di trasparenza contro la valorizzazione del merito e la conseguente instaurazione di un regime meritocratico.

Se ci fermassimo alle parole non si potrebbe obbiettare nulla, ma siamo sicuri che esse corrispondano realmente ai fatti? (ovvero, ora che che l'abbiamo a disposizione, a ciò che c'è scritto nel testo). La parola che ci ha assordato di più negli utimi mesi è stata meritocrazia. Attenzione non merito, ma meritocrazia. Ma il termine non può essere dei più vaghi. La meritocrazia richiede la valutazione: chi viene valutato, cosa viene valutato, come si viene valutati e che effetti ha la valutazione. Si potrebbe pensare (e così vorrebbe la costituzione) ad una valutazione individuale, per esempio diretta al singolo studente, ricercatore, pubblicazione, perfino gruppo di ricerca, benchè la cosa sia estremamente difficile da definire; oppure ad una valutazione che riguarda le strutture (atenei, facoltà dipartimenti, enti di ricerca).

Ora abbiamo un modo per capire cosa il governo ha in mente. Basta sfogliare con occhio critico la riforma:

  1. La riforma non aggiunge un euro in più, ovvero restano i tagli della 133 e la riorganizzazione totale dell'università è “a costo zero”.

  2. Il meccanismo che segue la valutazione è premiale, ovvero si avranno benefici se si sarà valutati positivamente.

  3. L'unica cosa già definita ampiamente e dettagliatamente è la completa riorganizzazione della governance d'ateneo. Se fino ad ora il senato accademico (e la giunta) avevano l'ultima parola sulle decisioni riguardanti i corsi e le strutture didattiche e della ricerca ora sarà scavalcato dal C.d.a. (consiglio di amministrazione) organo che regola la contabilità (aziendale) dell'ateneo. Potrà decidere sulla soppressione di corsi e di intere facoltà se i criteri econometrici che gli sono propri diranno che è bene così.


Il meccanismo premiale riguarda solo le università, anzi meglio distingue in modo netto università che sono definite “virtuose” (che in realtà è una auto definizione, vedi AQUIS) e quelle che non lo sono. Il motivo di tale virtù risiede nel fatto che i conti di tali università siano in pareggio, dimenticandosi che le università non hanno come scopo il pareggio di bilancio, nè tantomeno il lucro, non sono aziende! La cosa si fa paradossale quando viene definito meglio quale è il meccanismo premiale: visto che la riforma non aggiunge un euro il premio sarà il

  1. NON-COMMISSARIAMENTO

  2. la possibilità di continuare ad accedere alle risorse dello stato (F.F.O.).

  3. Il blocco parziale anzichè totale del turnover.

Il premio dunque è assenza di punizione. E' stato facile convincere tutti che dietro questa definizione di meritocrazia e di valutazione c'era un impegno preciso a combattere clientelismi, baronie e difendere il merito individuale, ma alla prova del nove ci si trova di fronte ad una virtù prettamente aziendale degli atenei.

La scelta di criteri di valutazione deve essere funzionale allo scopo che ci si prefigge.

Riguardo alla riorganizzazione della governance ci si accorge allora che il tutto è stato progettato coerentemente perchè si abbia come obiettivo il pareggio di bilancio (prima del resto); per questo ribaltare l'importanza degli organi di governance perchè la valutazione ha assunto criteri che solo un C.d.a. può garantire.

Per non parlare della composizione interna di tale C.da.: il 40% sarà composto da estranei all'università (per lo più privati e aziende). Quindi si può benissimo cercare di estrapolare quali saranno i mezzi che l'università sceglierà per rispondere alle nuove necessità: di certo non quelli che ci si aspetta da un università pubblica votata alla creazione e diffusione della cultura (di più ampio respiro). Se vogliamo essere pessimisti, ma neanche poi tanto, le uniche cose che saranno riconosciute come elementi di merito saranno:

  1. rilevanza economica dei progetti di ricerca (per i privati si intende)

  2. trasferimento tecnologico dalla ricerca di base alle aziende

  3. brevetti

  4. produttività (esasperata che inciderà sulle nostre condizioni di vita come studenti oberati da ritmi imposti dall'alto e impossibilitati alla creazione di percorsi culturali autonomi e magari interdisciplinari).

E la lista certamente non è completa.

Per finire un esempio pratico:

la riforma stravolge anche le carriere universitarie. Prendiamo il caso dei ricercatori a tempo determinato (quelli a tempo indeterminato scompariranno: se vuoi fare il ricercatore devi anche insegnare e tanto, con conseguenze immaginabili sulla qualità della ricerca).

La Gelmini dice di aver vinto così sul precariato perchè dopo al più 10 anni bisognerà sostenere un esame per diventare docente e non si potrà più essere ricercatori a tempo pieno (e indeterminato).

Ma per far sì che si possa lavorare dopo l'esame bisognerà che:

  1. venga bandito un concorso pubblico per un posto da docente

  2. l'università abbia la possibilità di cooptare ricercatori

La realizzazione di queste condizioni è resa fortemente improbabile da problemi strutturali introdotti con le ultime leggi:

  1. La legge 133 taglia i fondi alle università e blocca il turnover – la disponibilità economica va ricercata altrove (vedi privati esterni che decideranno come fare ricerca secondo i loro interessi)

  2. l'attuale ddl da la possibilità C.d.a. di selezionare quali dipartimenti, facoltà e gruppi di ricerca fanno bene all'università. Ciò condizionerà le possibilità di assunzione di nuovo personale perchè la ripartizione interna dei finanziamenti alle strutture universitarie sarà differenziata in base a scelte economiche strategiche.


Federico:

Bisogna ricordare che tra le università che non hanno queste “virtù” ci sono “la Sapienza” di Roma e l'università di Napoli, grandissime università con sì problemi di bilancio, ma che non possono per questo essere tagliate definitivamente fuori dalle risorse statali.

A quanto pare se si rimane nel quadro dei tagli imposti e non modificati, l'unica via praticabile dal governo è rivalersi sugli studenti (tagliando i servizi, imponendo di fatto agli atenei di aumentare le tasse per non fallire), e sui lavoratori dell'università stravolgendo in peggio le carriere, addossando oneri insostenibili di didattica a tutti i ricercatori (incompatibili con l'attività di ricerca) senza cambiamenti dal punto di vista del reddito.


I privati italiani non investono nelle università, non l'hanno mai fatto. E la riforma non mostra incentivi in questo senso, d'altra parte regala una fetta della governance degli atenei a privati (40% del C.d.a.) senza che i privati facciano nulla per sostenere le università. Se ne cede semplicemente il controllo.

Se questa riforma voleva spazzare via lobby baronali non ci riuscirà visto che chi giudicherà nelle commissioni per le assunzioni saranno solo i più alti in ruolo (es. l'assunzione di un docente di seconda fascia spetterà agli ordinari, di un ricercatore a ordinari e docenti di seconda fascia, ecc.. ) le lobby baronali continueranno ad esserci. A queste si aggiungeranno adesso anche le lobby private che già in molti ambiti dettano le loro leggi e che ora potranno ambire ad un ruolo ufficiale di comando (nel C.d.a).


Per quanto riguarda la nostra vita da studenti e futuri lavoratori universitari ci dobbiamo rassegnare, stando alla riforma, alla totale assenza di coinvolgimento nella vita dell'ateneo, nelle sue decisioni; in più continueremo a sottostare ad una quatidianità già fatta di precariato (nessuna speranza per il nostro lavoro, nessun momento di condivisione e collaborazione, solo studio forsennato per essere più produttivi , ma per qualcun altro..); tutto ciò sarà ancor più insostenibile se ci troveremo in difficoltà economiche: il governo ci “premierà”, dandoci l'opportunità di continuare gli studi solo indebitandoci con una banca, attraverso il prestito d'onore. Così non potremo permetterci nessun approfondimento, nessuna relazione con altri ambiti del sapere, nessuna formazione completa, figuriamoci una normale vita sociale, se l'unico pensiero che ci tormenterà sarà quello dei debiti da saldare, fatti ancora prima di avere uno stipendio con cui saldarli.

Questa assemblea ha deciso di dire un no preciso, consapevole, critico. L'assemblea (ogni venerdi nell'aula di medicina legale in via irnerio 49 ), sarà un vero e proprio laboratorio in cui capire in maniera più organica possibile le logiche che hanno portato alla riforma, studiarne anche i dettagli per capire come potrebbero cambiare le cose, ma anche per creare una vera alternativa alla deriva aziendalistica, ad una idea completamente deviata di meritocrazia; inoltre si darà avvio a vere inchiste sul mondo del lavoro universitario, quello che in prima persona ci vede o ci vedrà protagonisti.

mercoledì 18 novembre 2009

News

1. Assemblea Nazionale co-indetta dai precari autoorganizzati e FLC-CGIL Venerdi' 20 a Roma
All'ordine del giorno:
  • Analisi del Ddl Gelmini
  • Piattaforma delle rivendicazioni.
  • Agenda delle mobilitazioni nazionali e territoriali.

Un passo dell'appello per l'assemblea:
E' chiaro dunque che se questo DDL venisse approvato dalle Camere si definirebbe un punto di non ritorno, meglio, la dismissione dell'università pubblica che abbiamo conosciuto fino ad adesso. Un'università, intendiamoci bene, che non ci siamo mai sognati di difendere e che abbiamo con forza e passione criticato, a partire dal nostro ruolo. Oggi è necessario, però, riprendere la critica dei tagli e del DDL che ne è diretta espressione. Pretendere di finanziare questa riforma con i soldi dello scudo fiscale è insensato. Non si può vincolare l’università italiana alle trovate della finanza creativa del ministro dell’economia Tremonti. Resta il fatto che in Italia si spende meno dell’1% del PIL in ricerca, e questa riforma non prevede alcun incremento. Per questo riteniamo giunto il momento di riprendere parola, per confrontare analisi e proposte, ma anche e soprattutto per ridefinire una piattaforma e un'agenda di lotte condivise. Un'agenda che non si limiti ad assumere la partecipazione alle scadenze sindacali già in cantiere, ma che piuttosto faccia delle stesse occasioni per rilanciare un movimento e una campagna politica molto più ampia e a lungo termine, che riguardi l'università e la ricerca, ma che si leghi anche alle lotte degli studenti e della scuola e che cominci a immaginare e a pretendere un nuovo Welfare.


2. Fiaccolata del mondo della formazione:
ieri sera studenti medi, universitari, Assemblea delle Scuole-Genitori ed Insegnanti, Coord.Precari Scuola, Coord. Scuole Superiori -docenti strutturati hanno dato vita ad una fiaccolata per ricordare Vito, il ragazzo che il 22 novembre dello scorso anno e' morto travolto dal soffitto dell'aula del suo Liceo.

Leggete la cronaca su http://www.zic.it/partita-la-fiaccolata-del-mondo-della-scuola/
Ci sembra impossibile discutere del nuovo DDL Gelmini senza cercare di inquadrarlo in quello che è il contesto di riforma dell'Università a livello mondiale.

Concentrandosi in particolare sullo scenario europeo, è inevitabile far riferimento al Processo di Bologna, nato nel settembre del 1999 proprio nella città in cui studiamo, quando 29 ministri dell'istruzione europei si sono incontrati con gli obiettivi di:

- creare un'area europea dell'Istruzione Superiore;
- promuovere nel mondo il sistema di Istruzione Superiore europeo;
- armonizzare i sistemi universitari europei.

Negli anni, il Processo di Bologna ha dato vita ad una successione innumerevole di documenti; forse il più importante è la Dichiarazione di Lisbona, del 2007, prodotta dal EUA (European University Association).

La Dichiarazione di Lisbona, che da ora in poi chiameremo semplicemente "Dichiarazione", è inserita nella cornice del Processo di Bologna come suo documento progettuale "oltre il 2010", come dice il titolo stesso. E' molto vago, ma estremamente importante, dato che in esso si offrono le linee guida per le future riforme delle Università europee, nell'ottica di un "obiettivo comune"; se da un lato ci sono idee condivisibili (ad esempio si chiede chiaramente che il 2% del PIL di ogni paese sia destinato all'Istruzione Superiore DATI OCSE), dall'altro è possibile leggere, nell'estrema vaghezza e nei tanti tecnicismi, alcune affermazioni molto chiare su qual è l'idea di Istruzione Superiore proposta dalla politica e dalle governance universitarie europee.
Ne riportiamo alcune:

- "le società moderne dipendono fortemente dall'APPLICAZIONE della conoscenza, dall'acquisizione di COMPETENZE di alto livello, dallo SPIRITO IMPRENDITORIALE e dallo sfruttamento delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione;

(inciso: il ministro Gelmini, in un'intervista a Il Giornale, ha dichiarato che è "inutile sfornare migliaia di laureati in scienze della comunicazione, candidati alla disoccupazione, se mancano gli ingegneri"; questo è piuttosto in disaccordo con quanto scritto sulla Dichiarazione e in entrambi i casi sembra ci si dimentichi di tutti gli studi cosiddetti "di base"...)

- le COMPETENZE sarebbero da sviluppare "anche grazie ad una formazione di tipo più PROFESSIONALE";

- c'è bisogno di riforme al fine di assicurare, tra gli altri, "occupabilità, MOBILITA', ATTRATTIVA";

- "le Università riconoscono la necessità di effettuare ulteriori sforzi per FAR SI' CHE I DATORI DI LAVORO SI RENDANO CONTO DELL'ENORME LAVORO INTRAPRESO PER RIFORMARE I CURRICULA";

- la ricerca è importante al fine di "creare una nuova generazione di leader capaci di integrare prospettive multiple e di RISPONDERE AI BISOGNI DI UN MERCATO DEL LAVORO IN RAPIDO CAMBIAMENTO";

- nel paragrafo 19 "Collaborazione università-impresa" si afferma che "il trasferimento di conoscenza [è] visto quale missione basilare per le Università";

- nel paragrafo 21 si esprime la "necessità di promuovere condizioni legali e regolatorie maggiormente FLESSIBILI e favorevoli per i ricercatori operanti nelle università".

Quello che riusciamo a scorgere piuttosto inequivocabilmente in queste affermazioni, particolarmente nelle ultime, è l'intenzione di assoggettare sempre più lo studio e la ricerca alle esigenze del mercato e dell'impresa PRIVATA.
Questo svilisce, anzi soffoca, quello che per noi è lo scopo primario dell'istruzione, cioè CONOSCERE LA REALTA' e COMPRENDERLA e per fare questo, però, studio e ricerca DEVONO essere primariamente FINI A SE' STESSI.

Il continuo piegare l'Istruzione alle logiche della produttività porta a molte contraddizioni.

Nella nostra società siamo giunti all'assurdo predominio della tecnica, sempre più sganciata e lontana dalla teoria.

E' sotto gli occhi di tutti la progressiva compartimentazione e parcellizzazione delle conoscenze, riscontrabile già a partire dai curricula, fino ad arrivare all'estrema incomunicabilità tra le varie "culture".

Inoltre, sempre più noi studenti stiamo smarrendo quello che è il PIACERE di studiare, costretti, come siamo, a dare esami senza sosta e con molte scadenze forzate, come in una grande catena di montaggio.

A tutto questo si aggiunge lo spettro della flessibilità (alias PRECARIETA') che già divora l'Università italiana e che è uno dei "punti di forza" del nuovo DDL Gelmini.

Alessandro

mercoledì 11 novembre 2009

ASSEMBLEA CITTADINA DEL MONDO DELLA FORMAZIONE

I tagli alla formazione decisi un anno fa dal Governo stanno distruggendo definitivamente una formazione pubblica in macerie, dalle primarie all'università. Una dequalificazione dei saperi e un declassamento sempre più palese sta colpendo il mondo della formazione, togliendoci la "sicurezza" di un presente e di un futuro dignitoso.

La risposta del Governo quest'anno si è dimostrata subito per quello che è, ovvero un incapace tentativo di riforma universitaria che non cambia le condizioni attuali in cui versa la formazione nel nostro paese: non possiamo difendere una formazione pubblica che insieme al privato si fonde smantellando definitivamente il sistema formativo.

Attraverso l'Autoriforma praticata nelle università, attacchiamo chi ci vuole precari e indebitati, e, contro una formazione pubblica in fallimento, costruiamo la sola possibile università autoriformata.

Intanto il governo ha messo a punto la sua strategia fatta di tagli e dismissione della formazione. Noi non ci stiamo. Sul nostro presente e sul nostro futuro decidiamo noi.

E lanciamo un'ASSEMBLEA CITTADINA DEL MONDO DELLA FORMAZIONE, Venerdì 13 Novembre alle ore 17 (Facoltà di Lettere e Filosofia, via zamboni 38), aperta a studenti medi e universitari, lavoratori precari della scuola e dell'università, genitori e insegnanti.

Inoltre Martedì 17 Novembre ci sarà una fiaccolata, per manifestare il nostro dissenso e per ricordare la morte dello studente torinese colpito dal crollo del tetto della sua scuola un anno fa.

Coordinamento Studenti Medi Bolognesi

Onda Anomala Bologna

venerdì 6 novembre 2009

Nella confederazione anarchica di dipartimenti, come una volta ha detto lo stesso preside, che è la facoltà di scienze, va valutata con attenzione la molteplicita' di effetti che il DDL Gelmini avrà, deve essere capita e compresa come motore per la nascita e la creazione di nuove forme, passatemi il termine, di resistenza.
Accaparrarsi le briciole per cercare di restare in gara, arrampicarsi sulle pareti i cui appigli sono solo i ritorni economici, non è quello che io voglio dalla mia università.
Perchè non si propone altro che questo, un processo di smentellamento,
a favore di un sistema meritocratico, ma che del merito ne fa un contenitore vuoto;
Ebbene non fa altro che incastrarci in un sistema produttivo che è gia' fallito.
Un sistema prduttivo che sul piano accademico campa su dottorati senza borsa, su tirocini non retribuiti, didattica gratuita.
Quel sistema produttivo che finanche nel mondo accademico fa fatica ad
assimilare i cambiamenti, le nuove forme, le nuove figure, le nuove idee.
Ma è in un sistema in crisi che si possono trovare leve per pratiche efficaci, che si possono rifocalizzare desideri ed obiettivi e le stesse forze per realizzarli.
Ed è così che in tutta Italia nascono esperienze come quelle dell'autoformazione, dell'autoriforma, o esperienze come quella di Bartleby.
Quello che voglio dire è che è possible trovare terreni di confronto su cui si possono vedere realizzati i propri desideri.
La potenza di tutto questo è palpabile nella fitta rete di contatti tra realtà preesistenti, ma soprattutto tra realtà nate a partire dall'autunno scorso, che è rimasta in piedi e che continua a crearsi e rigenerarsi nel tempo.
Sto pensando alla rete con i precari del CNR, i precari della scuola, gli studenti medi, l'assemblea delle scuole.
Non era scontato che tutto questo assumesse la forma che ha attualmente, quindi lo leggo come una vittoria; ma non solo, anche come il punto zero per un nuovo inizio.
Quello che faremo è cercare di leggere tra le righe del ddl gelmini, perchè non è semplice comprendere quali saranno gli effetti di una riforma come questa, effetti che non sono nè intuitivi nè immediati, quelli che stanno al di là dei tecnicismi,
ben mascherati tra l'altro da spot vuoti come la meritocrazia e la ''nuova'' governance.
Due parole sulla meritocrazia e chiudo.
il contenitore è talmente vuoto che si fa fatica a comprendere la distinzione tra merito e meritocrazia, tra un sistema che premi i meritevoli ed uno che distrbuisca le spese tra i meno meritevoli.
In questo quadro bisogna cominciare, senza paura, a ripensare a schemi e metodi di valutazione, ripensare tutti i sistemi di valutazione,
quindi anche quelli che valutano le universita' di eccellenza, ma sopratutto quelli che valutano la ricerca e le pubblicazioni; bisogna ripensare al copyright, alla diffusione libera di sapere libero.
Bisogna riflettere su cosa sia davvero l'autonomia della ricerca e come questa resterà legata al sistema meritocratico con un cordone che la soffocherà togliendo fondi e possibilta', selezionando percorsi, per dirla retoricamente, "remunerativi".

Ed io da studentessa di astronomia mi continuo a chiedere che fine farà il mio dipartimento, che non arriva al minimo di dipendenti tra ordinari associati e docenti e rcercatori a contratto, previsti dal ddl, nonostante sia uno di quelli che riporta l'università di bologna un po' più su nelle classifiche internazionali.

Ermelinda

lunedì 2 novembre 2009

Incontro pubblico di facoltà di scienze

L'assemblea permanente Interscienze
invita studenti, dottorandi,
ricercatori e docenti ad un
INCONTRO PUBBLICO DI FACOLTÀ
DI SCIENZE

GIOVEDÌ 5 NOVEMBRE alle ore 17

presso l’Aula Ghigi di via San Giacomo 9 (B.E.S.)
per discutere del ddl di
RIFORMA DELL'UNIVERSITÀ
appena approvato dal governo.

Trovate il testo del ddl nella sezione link utili.

giovedì 22 ottobre 2009

Sguardo sull'università e l'anno appena iniziato

L’inizio di un nuovo anno accademico significa per qualcuno la graduale scoperta della facoltà scelta tra desideri ed esigenze di mercato, la conoscenza di una città che trae dall’ essere centro universitario e culturale tante delle sue qualità e della sua ricchezza ma anche una parte importante dei suoi problemi; per altri l’inizio significa invece ripartire approcciando al livello successivo dell’offerta formativa, corsi nuovi ed esami rimasti indietro.

Chiunque abbia fatto la conoscenza dell’Università Pubblica Italiana da poco tempo come da lunga data (dannati fuoricorso!) non può certo dire che scoppi di salute… il grave morbo del 3+2 ha provocato il frazionamento, l’incomunicabilità delle conoscenze da conseguire e la perdita di qualità dell’insegnamento, ha sonoramente fallito gli obiettivi preposti ma ha raggiunto e superato di gran lunga la spesa sostenibile.
La criticità della situazione è sottolineata dalle stesse fonti ministeriali* che annunciano a breve la presentazione della nuova riforma, la quale sarà saggiamente varata un anno dopo quei tagli devastanti al Fondo di Finanziamento Ordinario che nei prossimi mesi diverranno effettivi.

Ciò che il ministro Gelmini ha intenzione di somministrare non è tanto una cura quanto una strategia di contenimento delle spese e di gestione dei tagli che comporterà una drastica riduzione dell’offerta formativa e delle borse di dottorato, un aggravamento delle situazioni di precarietà e di impoverimento della Ricerca.
Per fortuna il governo e la stampa sventolano la bandiera della Meritocrazia, ma una meritocrazia che serva a dimenticare i tagli e che intenda non tanto premiare i geni, quanto scaricare su tutti gli altri l’aumento di tasse (e in questo il nostro ateneo è “troppo avanti”) e forme lavorative a titolo gratuito, come a dire: pagare la crisi è affar vostro… D’altronde il ministro Sacconi ce lo ha gentilmente ricordato: dobbiamo “riabituarci ai lavori umili”!

Eppure chi l’Università già la conosceva avrà notato anche qualcosa di diverso:
l’anno scorso Bologna, come tutt’Italia, veniva sommersa dal movimento studentesco più sconvolgente degli ultimi 30 anni…
L’Onda Anomala ha rifiutato la dismissione dell’Università Pubblica con la voce di centinaia di migliaia di studenti e precari, ma non solo, ha deciso di cambiarla partendo dalle assemblee di facoltà, con decine e decine di dibattiti, seminari, corsi autogestiti ed eventi culturali: una vera controriforma, o meglio…un’autoriforma.

L’Assemblea Permanente Interscienze nasce da questa esperienza straordinaria, nuova e inaspettata: e da qui intendiamo ripartire facendo la conoscenza del nuovo anno accademico.

Come studenti e studentesse della Facoltà di Scienze vediamo la Ricerca Scientifica, la Formazione Pubblica, come passione e desiderio personale a cui non intendiamo rinunciare, ma anche come potenziale di innovazione, cooperazione e ricchezza per la società intera.
Quindi parleremo delle malattie della nostra Università, ma soprattutto dell’unica difesa possibile del nostro futuro, non il rimpianto per il passato, bensì la partecipazione e la determinazione del presente, un contributo critico, decisionale e qualificante alla nostra formazione.
Preferiremmo lasciare le retoriche vuote dell’eccellenza a chi l’università la affama e a coloro che cercano di spartirsi le briciole; intendiamo piuttosto riaprire il dibattito in facoltà sul vero senso del merito, sulle modalità di accesso, di reclutamento e di valutazione ben consci che non c’è la soluzione dietro l’angolo, ma che studenti, ricercatori e precari debbano avere voce in capitolo.
Ci interessa inoltre avviare un’ inchiesta sulle condizioni materiali di vita in Università, in particolare sulla situazione dei dottorati e dei tirocini, indagare come il lavoro si travesta da studio, e come lo studio si scopra già lavoro.

Per questo e molto altro vogliamo confrontarci con tutti voi, dagli studenti ai docenti dai dottorandi ai ricercatori, partendo dai nostri progetti verso percorsi comuni, verso altre onde.

Assemblea Interscienze

L’assemblea permanente interscienze si riunisce ogni venerdì alle 13:00 in via Irnerio 49, nell’aula di Astronomia.

interscienzebo@gmail.com interscienzebologna.blogspot.com

*fonti: “linee guida del governo per l'università”/direttiva Gelmini del 4.9, protocollo n. 160


DOPO I TAGLI LA RIFORMA… o meglio dopo il danno la beffa!

Agosto 2008: il governo ritiene prioritario intervenire su formazione e cultura e ricerca, lo fa inserendo nella legge 133 (un insieme di tagli a tutto il settore pubblico) la decurtazione di 1,5 miliardi di euro in 5 anni dal Fondo di Finanziamento Ordinario delle università, il blocco del turn-over, la possibilità per gli atenei di costituirsi in fondazioni private.

Gennaio 2009: viene trasformato in legge il decreto 180, un frettoloso rimaneggiamento che non muta gli effetti devastanti della 133, ma indica dei criteri di ripartizione dei tagli che favoriscano gli atenei “eccellenti”. Anche per l’università, il merito sarà il cavallo di battaglia delle retoriche di governo.

Entrambe le leggi rimandano ad una futura riforma del sistema universitario, che avrebbe dovuto vedere la luce già un anno fa, ma fu impossibile procedere poiché proprio in quelle settimane l’Onda Anomala si gonfiava imponente in tutt’Italia.
Ripetuti rinvii ci conducono fino alle più recenti dichiarazioni, e linee guida ministeriali; proponiamo qui di seguito alcuni degli aspetti più significativi:

OFFERTA FORMATIVA: causa l’esplicitato fallimento degli ultimi 15 anni di riforme, si intende ridefinire l’offerta formativa secondo “parametri quantitativi”, poiché vi è la necessità di una “partecipazione del sistema universitario statale agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica” (ce ne eravamo accorti!!). Insomma non importa migliorare e razionalizzare gli insegnamenti ma frenarne la proliferazione e risparmiare. Sarà più alto il numero minimo di studenti per corso, verranno accorpati i curricola all’interno dei corsi, diverranno pressoché impossibili i corsi interclasse.

FACOLTA’ CANCELLATE: i dipartimenti (che non potranno avere meno di 30 o 40 docenti afferenti a seconda delle dimensioni dell’ateneo) saranno accorpati in “megadipartimenti”, responsabili di ambiti disciplinari “affini”, che dovranno occuparsi della ricerca, ma anche della didattica, ad oggi di competenza delle facoltà, le quali non esisteranno più: al loro posto strutture di “coordinamento” tra dipartimenti per la gestione dei corsi di laurea che richiedono la collaborazione di più dipartimenti;

RIFORMA DELLA GOVERNANCE: assumerà una centralità nella governance degli atenei il Consiglio di Amministrazione (composto per il 40% almeno da membri non elettivi) , il cui compito sarà “definire le linee di indirizzo per la pianificazione strategica” e finanziaria, mentre il senato accademico verrà esautorato di gran parte dei suoi poteri. Per cui se l’università non si costituirà in fondazione, avrà comunque una gestione aziendalista che rispetti criteri di “efficienza, efficacia ed economicità”.

PRECARIZZAZIONE DELLA RICERCA: si prevede l’istituzione della figura del ricercatore a tempo determinato (come prevedeva il Ddl Moratti), il tur-nover rimarrà bloccato, sparirà la possibilità di reale stabilizzazione.

LA BANDIERA DELLA MERITOCRAZIA con la quale sarà presentata questa riforma: Ricerca, didattica e “virtuosità” degli atenei saranno valutate soltanto in base a parametri economici e quantitativi: numero delle pubblicazioni, delle citazioni, numero degli esami svolti in un anno sono alcuni dei criteri per valutare la qualità del lavoro di un professore; mentre per i finanziamenti agli atenei valgono il numero dei laureati, dei fuoricorso, dei corsi di laurea attivati, del livello di informatizzazione
Crediamo tuttavia che i criteri meritocratici non possano essere solo dei numeri, i quali difficilmente potranno rispecchiare la reale qualità del sapere.
D’altra parte la qualità stessa dell’Università e della Ricerca sembra estranea all’interesse di un governo che si premura di non parlare mai di finanziamenti, innovazione e relazione reale con il mondo del lavoro.

Sala studio di viale Berti-Pichat

Bologna rimane una città con un certo fascino per un giovane e nonostante qualcuno ci consideri la fonte principale di degrado ed abiezione morale, conserviamo qualche ruolo importante: senza nulla togliere al pagamento di affitti esorbitanti e alla copertura di una miriade di lavoretti sottopagati e stage gratuiti, il nostro compito ultimo e fondamentale rimane quello di preservare l’incantevole e stupefacente processo di trasmissione, rinnovamento, riproduzione della conoscenza; in altri termini: STUDIARE!
L’anno scorso sulla cresta di un movimento di massa, abbiamo avuto modo di dimostrare che non esistono saperi neutrali e che università non significa catena di montaggio lezioni-esami, tuttavia se non amiamo le iniezioni di crediti “acritici” ciò non significa che non ci piaccia studiare.
Un problema si è posto nel momento in cui, nel week-end (ideale per lo studio direte..) riscontravamo una fastidiosa assenza di sale studio aperte in città, pur trattandosi di Bologna “l’Eccellente”; assenza fastidiosa soprattutto per chi da fuorisede, anche pagando il solito affitto esorbitante, non dispone di una camera spaziosa e silenziosa, adatta al ligio studio.
Abbiamo pensato che la garanzia di un posto in cui studiare anche nel week-end fosse un diritto che l’Università ci doveva e le nostre attenzioni si sono rivolte verso la sala studio di viale Berti Pichat, accanto al dipartimento di Astronomia, che rimaneva inaccessibile il sabato e la domenica.
Così l’Assemblea Permanente Interscienze ha occupato quell’aula, tenendola aperta agli studenti per svariati fine settimana fino a quando gli organi accademici si sono rassegnati a concederne l’apertura anche nei giorni festivi, fino alla fine dell’anno accademico e nella piena autogestione degli studenti stessi.
Le folle di studiosi che ogni week-end la riempivano, il servizio wireless gratuito da noi installato, i pranzi e le discussioni organizzati devono aver convinto l’università del bisogno, più volte negato, di maggiori spazi per gli studenti. Infatti da quest’anno il regolare orario di apertura della sala studio di viale Berti Pichat comprende anche il sabato e la domenica.
Ma pur elevandosi fino a tale brillante intuizione, i vertici del nostro ateneo non hanno resistito a marcare il territorio con diverse telecamere puntate dritte sui tavoli; avranno voluto farci sentire più sicuri? Hanno forse un interesse morboso nello spiarci mentre studiamo? Oppure volevano solo comunicarci che siamo al centro delle loro attenzioni?
Premesso che abbiamo un concetto di sicurezza non misurabile con la concentrazione di polizia e telecamere, dopo un' occupazione che ha valorizzato ed arricchito la funzione di quell’ambiente senza mai causare il minimo danno alle infrastrutture, riteniamo incomprensibile la presenza di telecamere per sorvegliare persone che studiano e riteniamo inaccettabili e del tutto immotivate forme di controllo e di intrusione simili nella nostra vita quotidiana.
Crediamo che gli spazi universitari debbano essere accessibili e fruibili per coloro a cui appartengono veramente, ovvero gli studenti, anche al di fuori dei canonici “orari d'ufficio”; a chi ha fatto installare quelle telecamere diciamo che quando si è coscienti di non aver fornito adeguatamente un servizio, si è capaci solo di goffi quanto inutili tentativi d’intimidazione...