giovedì 22 ottobre 2009

DOPO I TAGLI LA RIFORMA… o meglio dopo il danno la beffa!

Agosto 2008: il governo ritiene prioritario intervenire su formazione e cultura e ricerca, lo fa inserendo nella legge 133 (un insieme di tagli a tutto il settore pubblico) la decurtazione di 1,5 miliardi di euro in 5 anni dal Fondo di Finanziamento Ordinario delle università, il blocco del turn-over, la possibilità per gli atenei di costituirsi in fondazioni private.

Gennaio 2009: viene trasformato in legge il decreto 180, un frettoloso rimaneggiamento che non muta gli effetti devastanti della 133, ma indica dei criteri di ripartizione dei tagli che favoriscano gli atenei “eccellenti”. Anche per l’università, il merito sarà il cavallo di battaglia delle retoriche di governo.

Entrambe le leggi rimandano ad una futura riforma del sistema universitario, che avrebbe dovuto vedere la luce già un anno fa, ma fu impossibile procedere poiché proprio in quelle settimane l’Onda Anomala si gonfiava imponente in tutt’Italia.
Ripetuti rinvii ci conducono fino alle più recenti dichiarazioni, e linee guida ministeriali; proponiamo qui di seguito alcuni degli aspetti più significativi:

OFFERTA FORMATIVA: causa l’esplicitato fallimento degli ultimi 15 anni di riforme, si intende ridefinire l’offerta formativa secondo “parametri quantitativi”, poiché vi è la necessità di una “partecipazione del sistema universitario statale agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica” (ce ne eravamo accorti!!). Insomma non importa migliorare e razionalizzare gli insegnamenti ma frenarne la proliferazione e risparmiare. Sarà più alto il numero minimo di studenti per corso, verranno accorpati i curricola all’interno dei corsi, diverranno pressoché impossibili i corsi interclasse.

FACOLTA’ CANCELLATE: i dipartimenti (che non potranno avere meno di 30 o 40 docenti afferenti a seconda delle dimensioni dell’ateneo) saranno accorpati in “megadipartimenti”, responsabili di ambiti disciplinari “affini”, che dovranno occuparsi della ricerca, ma anche della didattica, ad oggi di competenza delle facoltà, le quali non esisteranno più: al loro posto strutture di “coordinamento” tra dipartimenti per la gestione dei corsi di laurea che richiedono la collaborazione di più dipartimenti;

RIFORMA DELLA GOVERNANCE: assumerà una centralità nella governance degli atenei il Consiglio di Amministrazione (composto per il 40% almeno da membri non elettivi) , il cui compito sarà “definire le linee di indirizzo per la pianificazione strategica” e finanziaria, mentre il senato accademico verrà esautorato di gran parte dei suoi poteri. Per cui se l’università non si costituirà in fondazione, avrà comunque una gestione aziendalista che rispetti criteri di “efficienza, efficacia ed economicità”.

PRECARIZZAZIONE DELLA RICERCA: si prevede l’istituzione della figura del ricercatore a tempo determinato (come prevedeva il Ddl Moratti), il tur-nover rimarrà bloccato, sparirà la possibilità di reale stabilizzazione.

LA BANDIERA DELLA MERITOCRAZIA con la quale sarà presentata questa riforma: Ricerca, didattica e “virtuosità” degli atenei saranno valutate soltanto in base a parametri economici e quantitativi: numero delle pubblicazioni, delle citazioni, numero degli esami svolti in un anno sono alcuni dei criteri per valutare la qualità del lavoro di un professore; mentre per i finanziamenti agli atenei valgono il numero dei laureati, dei fuoricorso, dei corsi di laurea attivati, del livello di informatizzazione
Crediamo tuttavia che i criteri meritocratici non possano essere solo dei numeri, i quali difficilmente potranno rispecchiare la reale qualità del sapere.
D’altra parte la qualità stessa dell’Università e della Ricerca sembra estranea all’interesse di un governo che si premura di non parlare mai di finanziamenti, innovazione e relazione reale con il mondo del lavoro.

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