mercoledì 18 novembre 2009

Ci sembra impossibile discutere del nuovo DDL Gelmini senza cercare di inquadrarlo in quello che è il contesto di riforma dell'Università a livello mondiale.

Concentrandosi in particolare sullo scenario europeo, è inevitabile far riferimento al Processo di Bologna, nato nel settembre del 1999 proprio nella città in cui studiamo, quando 29 ministri dell'istruzione europei si sono incontrati con gli obiettivi di:

- creare un'area europea dell'Istruzione Superiore;
- promuovere nel mondo il sistema di Istruzione Superiore europeo;
- armonizzare i sistemi universitari europei.

Negli anni, il Processo di Bologna ha dato vita ad una successione innumerevole di documenti; forse il più importante è la Dichiarazione di Lisbona, del 2007, prodotta dal EUA (European University Association).

La Dichiarazione di Lisbona, che da ora in poi chiameremo semplicemente "Dichiarazione", è inserita nella cornice del Processo di Bologna come suo documento progettuale "oltre il 2010", come dice il titolo stesso. E' molto vago, ma estremamente importante, dato che in esso si offrono le linee guida per le future riforme delle Università europee, nell'ottica di un "obiettivo comune"; se da un lato ci sono idee condivisibili (ad esempio si chiede chiaramente che il 2% del PIL di ogni paese sia destinato all'Istruzione Superiore DATI OCSE), dall'altro è possibile leggere, nell'estrema vaghezza e nei tanti tecnicismi, alcune affermazioni molto chiare su qual è l'idea di Istruzione Superiore proposta dalla politica e dalle governance universitarie europee.
Ne riportiamo alcune:

- "le società moderne dipendono fortemente dall'APPLICAZIONE della conoscenza, dall'acquisizione di COMPETENZE di alto livello, dallo SPIRITO IMPRENDITORIALE e dallo sfruttamento delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione;

(inciso: il ministro Gelmini, in un'intervista a Il Giornale, ha dichiarato che è "inutile sfornare migliaia di laureati in scienze della comunicazione, candidati alla disoccupazione, se mancano gli ingegneri"; questo è piuttosto in disaccordo con quanto scritto sulla Dichiarazione e in entrambi i casi sembra ci si dimentichi di tutti gli studi cosiddetti "di base"...)

- le COMPETENZE sarebbero da sviluppare "anche grazie ad una formazione di tipo più PROFESSIONALE";

- c'è bisogno di riforme al fine di assicurare, tra gli altri, "occupabilità, MOBILITA', ATTRATTIVA";

- "le Università riconoscono la necessità di effettuare ulteriori sforzi per FAR SI' CHE I DATORI DI LAVORO SI RENDANO CONTO DELL'ENORME LAVORO INTRAPRESO PER RIFORMARE I CURRICULA";

- la ricerca è importante al fine di "creare una nuova generazione di leader capaci di integrare prospettive multiple e di RISPONDERE AI BISOGNI DI UN MERCATO DEL LAVORO IN RAPIDO CAMBIAMENTO";

- nel paragrafo 19 "Collaborazione università-impresa" si afferma che "il trasferimento di conoscenza [è] visto quale missione basilare per le Università";

- nel paragrafo 21 si esprime la "necessità di promuovere condizioni legali e regolatorie maggiormente FLESSIBILI e favorevoli per i ricercatori operanti nelle università".

Quello che riusciamo a scorgere piuttosto inequivocabilmente in queste affermazioni, particolarmente nelle ultime, è l'intenzione di assoggettare sempre più lo studio e la ricerca alle esigenze del mercato e dell'impresa PRIVATA.
Questo svilisce, anzi soffoca, quello che per noi è lo scopo primario dell'istruzione, cioè CONOSCERE LA REALTA' e COMPRENDERLA e per fare questo, però, studio e ricerca DEVONO essere primariamente FINI A SE' STESSI.

Il continuo piegare l'Istruzione alle logiche della produttività porta a molte contraddizioni.

Nella nostra società siamo giunti all'assurdo predominio della tecnica, sempre più sganciata e lontana dalla teoria.

E' sotto gli occhi di tutti la progressiva compartimentazione e parcellizzazione delle conoscenze, riscontrabile già a partire dai curricula, fino ad arrivare all'estrema incomunicabilità tra le varie "culture".

Inoltre, sempre più noi studenti stiamo smarrendo quello che è il PIACERE di studiare, costretti, come siamo, a dare esami senza sosta e con molte scadenze forzate, come in una grande catena di montaggio.

A tutto questo si aggiunge lo spettro della flessibilità (alias PRECARIETA') che già divora l'Università italiana e che è uno dei "punti di forza" del nuovo DDL Gelmini.

Alessandro

Nessun commento: