venerdì 20 novembre 2009

INCONTRO DELLA FACOLTA' DI SCIENZE

05/11/2009 aula Ghigi B.E.S.

27/11/2009: il governo propone il disegno di legge delega “in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio”.

E' passato più di un anno dalla famigerata legge 133 che si abbattè come una scure sul mondo della formazione, dell'università, della ricerca e della cultura. Più di 1000 Mld di tagli in quattro anni solo per l'università.

Un anno di proteste, di presa di consapevolezza e di parola per un movimento che ha saputo capire le ragioni profonde di un provvedimento e ha saputo inquadrarle in un contesto ben più largo e strutturato che il semplice “stringiamo la cinghia” dettato dal governo.

Un anno speso bene però dal governo che ha impegnato tutte le sue forze in una campagna propagandistica che preparasse il terreno ad un consenso facile per la riforma in tutta la sua fantomatica novità e benedetta puntualità. Un anno a scolpire nella mente di tutti parole semplici, a prima vista difficili da rifiutare parlando di università e ricerca:

Meritocrazia, eccellenza, efficienza.

Ma possiamo fidarci del nostro primo istinto di fronte alle parole usate per incensare il proprio programma legislativo, soprattutto se si basa sul presupposto terrificante della legge 133?

Quanto sono nuove queste parole prima dell'ennesima riforma? Che senso hanno realmente sia da un punto di vista politico che dal più immediato raffronto con le effettive proposte contenute nella riforma?

C'è da chiedersi ancora quali siano le basi logiche e ideologiche su cui si basa l'intervento del governo e quanto abbiano a che fare con la linea europea riguardo alla funzione e all'organizzazione di università e ricerca; e quali siano infine gli effetti pratici sui percorsi di vita e lavorativi che ci attendono dopo questa riforma. In quanto studenti di facoltà scientifiche verremo sicuramente investiti dagli effetti di una rivoluzione nell'organizzazione delle carriere di ricerca e di docenza;

e più di altri sentiremo sulle nostre spalle la riforma, in quanto si propone un modello tecnocratico, non nell'incentivo dato alla ricerca scientifica e tecnologica, ma nella settorializzazione delle conoscenze, nella idea di un'università delle competenze asservita unicamente alle logiche del mercato (del lavoro e non) in cui il nostro ruolo è solo di immagazzinare tali competenze perchè possano essere estratte all'occorrenza. Siamo sicuri che la possibilità di futuro che dicono di poter creare sia davvero la nostra, o che il progetto del nostro futuro, ridotto solo nelle nostre capacità di arricchire il nostro bagaglio di competenze, servirà soltanto a rincorrere il lavoro nella precarietà?

Noi dell'Assemblea permanente Interscienze abbiamo voluto aprire un confronto tra gli studenti, i dottorandi e i ricercatori su questa riforma, tramite quest'incontro di facoltà e incontri settimanali sotto forma di laboratorio. Cerceremo di entrare nei meandri del testo e di aprirci al dialogo critico tra tutti coloro che vorranno prendere parte alla discussione.

Di seguito sono presentati alcuni estratti dagli interventi dell'incontro:


Gabriele:


Bisogna certamente chiedersi perchè un anno di attesa per proporre la riforma. Il governo aveva la necessità di un’opera di propaganda volta alla creazione preliminare del consenso e all’individuazione di un nemico comune cui contrapporre un paradigma positivo, entrambi facilmente riconoscibili: la casta baronale, la corruzione, il nepotismo, l’assenza di trasparenza contro la valorizzazione del merito e la conseguente instaurazione di un regime meritocratico.

Se ci fermassimo alle parole non si potrebbe obbiettare nulla, ma siamo sicuri che esse corrispondano realmente ai fatti? (ovvero, ora che che l'abbiamo a disposizione, a ciò che c'è scritto nel testo). La parola che ci ha assordato di più negli utimi mesi è stata meritocrazia. Attenzione non merito, ma meritocrazia. Ma il termine non può essere dei più vaghi. La meritocrazia richiede la valutazione: chi viene valutato, cosa viene valutato, come si viene valutati e che effetti ha la valutazione. Si potrebbe pensare (e così vorrebbe la costituzione) ad una valutazione individuale, per esempio diretta al singolo studente, ricercatore, pubblicazione, perfino gruppo di ricerca, benchè la cosa sia estremamente difficile da definire; oppure ad una valutazione che riguarda le strutture (atenei, facoltà dipartimenti, enti di ricerca).

Ora abbiamo un modo per capire cosa il governo ha in mente. Basta sfogliare con occhio critico la riforma:

  1. La riforma non aggiunge un euro in più, ovvero restano i tagli della 133 e la riorganizzazione totale dell'università è “a costo zero”.

  2. Il meccanismo che segue la valutazione è premiale, ovvero si avranno benefici se si sarà valutati positivamente.

  3. L'unica cosa già definita ampiamente e dettagliatamente è la completa riorganizzazione della governance d'ateneo. Se fino ad ora il senato accademico (e la giunta) avevano l'ultima parola sulle decisioni riguardanti i corsi e le strutture didattiche e della ricerca ora sarà scavalcato dal C.d.a. (consiglio di amministrazione) organo che regola la contabilità (aziendale) dell'ateneo. Potrà decidere sulla soppressione di corsi e di intere facoltà se i criteri econometrici che gli sono propri diranno che è bene così.


Il meccanismo premiale riguarda solo le università, anzi meglio distingue in modo netto università che sono definite “virtuose” (che in realtà è una auto definizione, vedi AQUIS) e quelle che non lo sono. Il motivo di tale virtù risiede nel fatto che i conti di tali università siano in pareggio, dimenticandosi che le università non hanno come scopo il pareggio di bilancio, nè tantomeno il lucro, non sono aziende! La cosa si fa paradossale quando viene definito meglio quale è il meccanismo premiale: visto che la riforma non aggiunge un euro il premio sarà il

  1. NON-COMMISSARIAMENTO

  2. la possibilità di continuare ad accedere alle risorse dello stato (F.F.O.).

  3. Il blocco parziale anzichè totale del turnover.

Il premio dunque è assenza di punizione. E' stato facile convincere tutti che dietro questa definizione di meritocrazia e di valutazione c'era un impegno preciso a combattere clientelismi, baronie e difendere il merito individuale, ma alla prova del nove ci si trova di fronte ad una virtù prettamente aziendale degli atenei.

La scelta di criteri di valutazione deve essere funzionale allo scopo che ci si prefigge.

Riguardo alla riorganizzazione della governance ci si accorge allora che il tutto è stato progettato coerentemente perchè si abbia come obiettivo il pareggio di bilancio (prima del resto); per questo ribaltare l'importanza degli organi di governance perchè la valutazione ha assunto criteri che solo un C.d.a. può garantire.

Per non parlare della composizione interna di tale C.da.: il 40% sarà composto da estranei all'università (per lo più privati e aziende). Quindi si può benissimo cercare di estrapolare quali saranno i mezzi che l'università sceglierà per rispondere alle nuove necessità: di certo non quelli che ci si aspetta da un università pubblica votata alla creazione e diffusione della cultura (di più ampio respiro). Se vogliamo essere pessimisti, ma neanche poi tanto, le uniche cose che saranno riconosciute come elementi di merito saranno:

  1. rilevanza economica dei progetti di ricerca (per i privati si intende)

  2. trasferimento tecnologico dalla ricerca di base alle aziende

  3. brevetti

  4. produttività (esasperata che inciderà sulle nostre condizioni di vita come studenti oberati da ritmi imposti dall'alto e impossibilitati alla creazione di percorsi culturali autonomi e magari interdisciplinari).

E la lista certamente non è completa.

Per finire un esempio pratico:

la riforma stravolge anche le carriere universitarie. Prendiamo il caso dei ricercatori a tempo determinato (quelli a tempo indeterminato scompariranno: se vuoi fare il ricercatore devi anche insegnare e tanto, con conseguenze immaginabili sulla qualità della ricerca).

La Gelmini dice di aver vinto così sul precariato perchè dopo al più 10 anni bisognerà sostenere un esame per diventare docente e non si potrà più essere ricercatori a tempo pieno (e indeterminato).

Ma per far sì che si possa lavorare dopo l'esame bisognerà che:

  1. venga bandito un concorso pubblico per un posto da docente

  2. l'università abbia la possibilità di cooptare ricercatori

La realizzazione di queste condizioni è resa fortemente improbabile da problemi strutturali introdotti con le ultime leggi:

  1. La legge 133 taglia i fondi alle università e blocca il turnover – la disponibilità economica va ricercata altrove (vedi privati esterni che decideranno come fare ricerca secondo i loro interessi)

  2. l'attuale ddl da la possibilità C.d.a. di selezionare quali dipartimenti, facoltà e gruppi di ricerca fanno bene all'università. Ciò condizionerà le possibilità di assunzione di nuovo personale perchè la ripartizione interna dei finanziamenti alle strutture universitarie sarà differenziata in base a scelte economiche strategiche.


Federico:

Bisogna ricordare che tra le università che non hanno queste “virtù” ci sono “la Sapienza” di Roma e l'università di Napoli, grandissime università con sì problemi di bilancio, ma che non possono per questo essere tagliate definitivamente fuori dalle risorse statali.

A quanto pare se si rimane nel quadro dei tagli imposti e non modificati, l'unica via praticabile dal governo è rivalersi sugli studenti (tagliando i servizi, imponendo di fatto agli atenei di aumentare le tasse per non fallire), e sui lavoratori dell'università stravolgendo in peggio le carriere, addossando oneri insostenibili di didattica a tutti i ricercatori (incompatibili con l'attività di ricerca) senza cambiamenti dal punto di vista del reddito.


I privati italiani non investono nelle università, non l'hanno mai fatto. E la riforma non mostra incentivi in questo senso, d'altra parte regala una fetta della governance degli atenei a privati (40% del C.d.a.) senza che i privati facciano nulla per sostenere le università. Se ne cede semplicemente il controllo.

Se questa riforma voleva spazzare via lobby baronali non ci riuscirà visto che chi giudicherà nelle commissioni per le assunzioni saranno solo i più alti in ruolo (es. l'assunzione di un docente di seconda fascia spetterà agli ordinari, di un ricercatore a ordinari e docenti di seconda fascia, ecc.. ) le lobby baronali continueranno ad esserci. A queste si aggiungeranno adesso anche le lobby private che già in molti ambiti dettano le loro leggi e che ora potranno ambire ad un ruolo ufficiale di comando (nel C.d.a).


Per quanto riguarda la nostra vita da studenti e futuri lavoratori universitari ci dobbiamo rassegnare, stando alla riforma, alla totale assenza di coinvolgimento nella vita dell'ateneo, nelle sue decisioni; in più continueremo a sottostare ad una quatidianità già fatta di precariato (nessuna speranza per il nostro lavoro, nessun momento di condivisione e collaborazione, solo studio forsennato per essere più produttivi , ma per qualcun altro..); tutto ciò sarà ancor più insostenibile se ci troveremo in difficoltà economiche: il governo ci “premierà”, dandoci l'opportunità di continuare gli studi solo indebitandoci con una banca, attraverso il prestito d'onore. Così non potremo permetterci nessun approfondimento, nessuna relazione con altri ambiti del sapere, nessuna formazione completa, figuriamoci una normale vita sociale, se l'unico pensiero che ci tormenterà sarà quello dei debiti da saldare, fatti ancora prima di avere uno stipendio con cui saldarli.

Questa assemblea ha deciso di dire un no preciso, consapevole, critico. L'assemblea (ogni venerdi nell'aula di medicina legale in via irnerio 49 ), sarà un vero e proprio laboratorio in cui capire in maniera più organica possibile le logiche che hanno portato alla riforma, studiarne anche i dettagli per capire come potrebbero cambiare le cose, ma anche per creare una vera alternativa alla deriva aziendalistica, ad una idea completamente deviata di meritocrazia; inoltre si darà avvio a vere inchiste sul mondo del lavoro universitario, quello che in prima persona ci vede o ci vedrà protagonisti.

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